Il divieto alla produzione, commercializzazione e le forti limitazioni di fatto alla ricerca sulla carne coltivata sono un provvedimento difficilmente giustificabile.
Mentre tutto il pianeta guarda alle opportunità offerte dall’avanzamento della scienza per combattere il cambiamento climatico e garantire sia la sicurezza alimentare che il benessere animale, l’Italia è divenuta la prima nazione del mondo a multare con un minimo di 10.000 euro chi produce carne coltivata. Invocando in modo errato il “principio di precauzione”.
Innanzitutto, la definizione corretta è carne “coltivata” e non piuttosto “sintetica”, perché la sintesi (che i Chimici conoscono bene) è un’altra cosa.
Sintesi significa partire da componenti semplici e con una sequenza di reazioni chimiche ottenere una molecola complessa. Con la carne coltivata non si sintetizza un bel nulla: si preleva un campione di cellule da un animale e si fanno moltiplicare in un ambiente controllato come un bioreattore.
A nessuno verrebbe in mente di parlare di “sintesi” dello yogurt o della birra, perché non si crea nulla, ma si moltiplicano semplicemente delle cellule (di lievito o batteriche) già esistenti.
Ma a parte la questione del nome, è proprio il merito a rendere questa legge molto discutibile.
Questo disegno di legge di fatto scoraggia fortemente la ricerca (anche con fondi privati) in questo settore. E quando non c’è alcuna giustificazione etica o di sicurezza, questo è in palese contrasto con l’art. 9 della nostra costituzione.
Dopo l’approvazione del Senato, a metà ottobre sembrava che questo provvedimento fosse su un “binario morto”. Infatti, si attendeva il responso della procedura TRIS, che è uno strumento della Comunità Europea che analizza preventivamente le leggi degli stati membri, segnalando quali aspetti potrebbero presentare criticità nell’ambito della legislazione europea.
Il governo ha deciso di ritirare la domanda sulla procedura TRIS in questo caso, esponendo il nostro Paese a una potenziale procedura di infrazione. Al momento, la commercializzazione di carne coltivata non è comunque possibile nell’Unione Europea: in questo senso questa legge è inutile. Quando però l’EFSA approverà degli alimenti a base di carne coltivata, e questo prodotto si troverà nei supermercati dell’Unione si potrà (forse) vietare quella prodotta in Italia ma non certo quella prodotta in altri stati membri, altrimenti si andrebbe contro numerose norme europee e si rischierebbe immediatamente una procedura di infrazione.
La spinta per approvare una legge simile proviene da una parte degli allevatori italiani, che hanno timore che la carne coltivata quando sarà disponibile commercialmente possa danneggiare il mercato dei loro prodotti. Se le preoccupazioni di chi lavora devono essere sempre ascoltate e capite, non è certo con questa legge che si possa fermare la carne coltivata. Questo settore (come tutti gli altri) ha bisogno sicuramente di essere studiato e regolamentato, non di “proibizioni”.
L’industria degli allevamenti intensivi ha un impatto enorme sul pianeta. Oggi, il 36% del peso di tutti i mammiferi sul pianeta è costituito da noi umani. Solo il 6% è costituto da animali selvatici, compresi quelli grandi come balene, elefanti o l’insieme dei topi. La maggior parte, ben il 58% è costituito dagli animali che alleviamo, essenzialmente per mangiarli, come mucche, maiali e pecore. Il 70% di tutti gli uccelli del globo sono polli di allevamento. L’industria della carne è responsabile di circa il 20% delle emissioni di gas climalteranti, più di tutto il settore del trasporto.
Sfatiamo anche un mito: la produzione agricola mondiale è al momento più che sufficiente non solo per la popolazione attuale: infatti attualmente si attesta a 2750 kcal al giorno.
Il problema è che una parte enorme di questa produzione agricola (oltre il 50%) si usa per sfamare gli animali di allevamento piuttosto che gli umani. Considerando tutto il processo, si stima che un chilogrammo di carne bovina sia responsabile delle emissioni di circa 100 kg di anidride carbonica. A parte i danni al pianeta, il consumo di carne eccessivo è sconsigliato per la nostra salute. Secondo le associazioni che si occupano di prevenzione delle malattie tumorali (come l’AIRC), il consumo di carne rossa raccomandato è non oltre 350-500 grammi pro capite a settimana.
In Europa il consumo pro capite di carne nella popolazione generale (che include anche chi la carne non la mangia come i vegani) è di circa un chilogrammo.
La soluzione quindi per sostenere chi lavora nel settore alimentare è puntare su una produzione di qualità salvaguardando le eccellenze locali, la salute umana e anche il benessere animale e diminuendo gli allevamenti intensivi. È sicuramente meglio accogliere e gestire le novità scientifiche e tecnologiche piuttosto che introdurre divieti difficilmente applicabili, dal punto di vista pratico e legislativo.
Una prima versione di questo articolo è apparsa su “Il Fatto Quotidiano”.
Prof. Marco Bella
Nota: l’immagine in apertura di questo articolo ha licenza creative commons ed è tratta da https://en.m.wikipedia.org/wiki/Cultured_meat
The post Perché la legge che vieta la carne coltivata è un errore first appeared on Federazione nazionale degli ordini dei chimici e dei fisici.
Leggi l’articolo completo: Perché la legge che vieta la carne coltivata è un errore