Il report dell’Osservatorio GIMBE analizza la mobilità sanitaria interregionale in Italia nel 2022, valutando il suo impatto economico attraverso l’esame di crediti, debiti e saldi tra regioni. Lo studio utilizza dati provenienti da diverse fonti istituzionali, evidenziando le discrepanze tra queste e sottolineando il ruolo significativo delle strutture private accreditate. L’analisi approfondisce le tipologie di prestazioni sanitarie erogate in mobilità e la loro correlazione con gli adempimenti dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Infine, il report conclude evidenziando le profonde disuguaglianze regionali nel diritto alla salute e la necessità di interventi urgenti per porvi rimedio.
La “fuga” dei pazienti verso il Nord
La mobilità sanitaria interregionale in Italia ha raggiunto nel 2022 il valore di 5.037 milioni di euro, segnando il livello più alto dal 2010 e un incremento del 18,6% rispetto all’anno precedente. Questo fenomeno, che permette ai cittadini di ricevere prestazioni sanitarie anche al di fuori della propria regione di residenza, genera un complesso sistema di compensazioni economiche tra le regioni. La mobilità attiva, che indica la capacità di una regione di attrarre pazienti da altre regioni, vede Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto come le principali destinazioni, assorbendo oltre la metà del valore totale della mobilità attiva. Al contrario, la mobilità passiva, che rappresenta la “fuga” di pazienti verso altre regioni, mostra una distribuzione meno concentrata, anche se regioni come Lazio, Campania e Lombardia registrano i debiti più elevati. Il saldo tra crediti e debiti evidenzia un chiaro divario tra Nord e Sud, con regioni settentrionali che accumulano saldi attivi significativi e regioni meridionali che, con l’eccezione del Lazio, mostrano saldi negativi elevati.
Il ruolo delle strutture private
Il report analizza le tipologie di prestazioni sanitarie erogate in mobilità, evidenziando come i ricoveri ospedalieri (ordinari e day hospital) costituiscano la quota maggiore (69,9%) del valore totale, seguiti dalla specialistica ambulatoriale (15,9%). Un aspetto rilevante riguarda il ruolo delle strutture private accreditate, che erogano oltre la metà del valore della mobilità attiva, sia per i ricoveri che per la specialistica ambulatoriale. In particolare, per i ricoveri, il valore delle prestazioni erogate dal privato è superiore del 26,2% rispetto al settore pubblico, mentre per la specialistica ambulatoriale la differenza è minore. L’analisi dei dati Agenas classifica i ricoveri in mobilità come “effettivi” (78,5%), “apparenti” (17,4%) e “casuali” (4,1%), sottolineando come una quota significativa di spostamenti non sia dovuta a una libera scelta del paziente. Inoltre, si osserva che la maggior parte dei ricoveri in mobilità effettiva sono per prestazioni ad alta complessità (51,7%), con solo una piccola parte classificata come a rischio di non essere appropriata.
«Questi numeri certificano che la mobilità sanitaria non è più una libera scelta del cittadino – ha affermato Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE -, ma una necessità imposta dalle profonde diseguaglianze nell’offerta dei servizi sanitari regionali. Sempre più persone sono costrette a spostarsi per ricevere cure adeguate, con costi economici, psicologici e sociali insostenibili».
Mobilità e Livelli Essenziali di Assistenza (LEA)
Il report esamina la correlazione tra mobilità sanitaria e adempimenti ai LEA. Si nota che le regioni con punteggi LEA più alti tendono ad avere saldi pro-capite di mobilità positivi, indicando una relazione tra qualità dell’offerta sanitaria e capacità di attrarre pazienti. Tuttavia, alcune eccezioni, come il Molise, suggeriscono che la correlazione non è sempre lineare. Il report conclude evidenziando le profonde disuguaglianze nel diritto alla salute che la mobilità sanitaria contribuisce a rivelare, con importanti implicazioni sanitarie, sociali ed economiche.
La Lombardia registra un saldo positivo di 623,6 milioni, seguita dall’Emilia-Romagna con 525,4 milioni e dal Veneto con 198,2 milioni. La Toscana mostra un avanzo più contenuto, pari a 49,3 milioni, mentre il Molise si attesta a 26,4 milioni. Al contrario, l’Abruzzo presenta un disavanzo di 104,1 milioni, il Lazio di 193,4 milioni, la Puglia di 230,2 milioni, la Sicilia di 241,8 milioni, la Calabria di 304,8 milioni e la Campania di 308,4 milioni. Un saldo negativo più contenuto caratterizza l’Umbria con 36,6 milioni, le Marche con 53,7 milioni, la Liguria con 74,6 milioni, la Basilicata con 80,8 milioni e la Sardegna con 96,3 milioni.
Si sottolinea quindi che la mancata adozione di misure correttive,rischia di minare l’universalità del Servizio sanitario nazionale, cosa che penalizza ulteriormente le regioni del Mezzogiorno.
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