Buongiorno a tutti, mi chiamo Oreste Piccolo. Ho ottenuto la laurea in Chimica presso l’università di Pisa nel 1974 e il dottorato in Chimica nel 1979 conseguito presso la Scuola Normale di Pisa nel 1979. Dopo alcune esperienze accademiche e industriali in Italia e all’estero, dal 1984 svolgo l’attività di consulente industriale di aziende di fine chemicals. Mantengo inoltre collaborazioni con diverse Università italiane, dove seguo anche il lavoro di tesi di studenti e dottorandi, oltre a tenere occasionalmente corsi come docente. Ho inoltre avuto nel corso degli anni vari incarichi all’interno della Società Chimica Italiana.

Cosa è la chimica verde e sostenibile? Certo non è una nuova chimica, e forse neppure un nuovo modo di fare chimica. Direi che è un atteggiamento mentale nel fare chimica, cioè nello studiare la materia e le sue trasformazioni, ponendosi queste domande: quanto quello che sto facendo è sostenibile economicamente ed eticamente, rispettoso dell’ambiente e di chi ci vive, preoccupandomi dell’uso delle risorse e del loro depauperamento, in particolare con l’attenzione per le possibili difficoltà per le generazioni future e cercando di darsi risposte coerenti e non di comodo. In effetti non è un modo di pensare totalmente nuovo, anche se viene ora reso sempre più impellente dal problema derivante dalla diminuzione delle risorse disponibili, dai cambiante climatici e dalla doverosa preoccupazione per il mondo che lasceremo a chi verrà dopo di noi. Dicevo che non è un nuovo modo di pensare essendo in gran parte già implicito in questo pensiero di A.W. von Hofmann (1884): “In una industria chimica ideale non si parla di rifiuti ma solo di prodotti. Più una industria chimica reale utilizza efficacemente i suoi rifiuti, più si avvicina al suo ideale e maggiore è il suo profitto”.

Bisognerebbe quindi seguire nel proprio lavoro di chimici, in particolare di quelli più coinvolti nella progettazione e sintesi di prodotti, di alcuni “percorsi virtuosi” schematizzati nell’immagine che ho elaborato e che trovate all’inizio dell’articolo.

È opportuno quindi cercare, per realizzare una chimica più verde e sostenibile, il giusto compromesso tra a volte opposte esigenze, che riguardano aspetti economici, sociali ed ambientali, per raggiungere la massima efficienza chimica di un processo/prodotto al minimo costo economico ed ambientale, minimizzando quindi gli sprechi, ottimizzando l’uso delle risorse, evitando sostanze e prodotti pericolosi e dando valore e nuova vita ai cosiddetti scarti. Per quanto riguarda quest’ultimi vanno perciò individuate idonee biomasse da coltivazione agroforestale o di origine marina vicine all’industria di trasformazione, ma anche, e soprattutto, i loro scarti come pure i rifiuti della catena alimentare non più utilizzabili come cibo e le biomasse da depurazione civile ed industriale. Queste risorse rinnovabili possono formare gradualmente le basi delle future bioraffinerie producendo i medesimi mattoni primari oggi derivanti dalle raffinerie petrolifere o alternative materie di base e prodotti a più alto valore aggiunto. Analogamente scarti quali quelli derivanti da marmitte catalitiche esauste e dai contenitori metallici alla fine del loro utilizzo, i rifiuti elettronici, etc. possono essere considerati le nuove miniere da cui estrarre metalli. Infine potenziare la raccolta e ridare nuova vita alla carta usata, ai materiali in vetro e in plastica sono sicuramente attività che, se gestite correttamente ed in modo sostenibile, permettono un minore consumo di risorse vergini. Localmente poi si possono individuare altre tipologie di scarto possibili che possono permettere di produrre nuovi materiali ecologicamente attraenti. La differenza per un chimico che si trovi ad operare in regioni diverse d’Italia può essere solo questa: utilizzare ciò che è più vicino possibile al suo luogo di lavoro che ovviamente spesso non è lo stesso nelle diverse realtà italiane. Ma la strategia deve essere la stessa! Per non essere utopia, il cambiamento deve prevedere che ciascun individuo, e non solo il chimico, dia comunque il suo contributo facendo cioè “fiorire la versione migliore del proprio io”, come è stato poeticamente detto da M. Cartagena de Furundarena.

Questo approccio per una chimica più verde e sostenibile è andato in me crescendo negli anni vivendo a contatto con la natura, i suoi cicli vitali e la sua continua trasformazione, unito ad una filosofia di vita fondata sul rispetto di se stessi e di tutto ciò che ci circonda come parti di un tutt’uno. Richiede sicuramente competenze multidisciplinari e possibilità di lavorare con persone aventi background differenti nel campo della chimica, della biotecnologia, dell’ingegneria di processo, etc. ma lo stesso obiettivo. I mezzi a disposizione attualmente per conseguire queste competenze, sono piuttosto limitati e si fa affidamento sull’esperienza acquisita sul campo. Io stesso ho sviluppato conoscenze solo nel corso degli anni, continuo quindi a studiare e ad imparare, sempre pieno di curiosità e, quando posso, cerco di trasmettere le mie conoscenze a chi, più giovane, possa essere interessato. Penso che la FNCF, assieme alla SCI, possa dare un valido contributo ai propri iscritti con corsi di specializzazione o scuole per meglio garantire una formazione adeguata o almeno quel minimo di competenze di base per chi volesse, indipendentemente dall’età, approfondire le tematiche qui accennate.

 

Dott. Chim. Oreste Piccolo, PhD, EurChem
orestepiccolo@tin.it

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