13 gennaio 1993: viene firmata a Parigi la Convenzione sulle Armi Chimiche (Chemical Weapons Convention). Precedentemente vi erano stati trattati che intendevano limitare o proibire l’impiego di armi in grado di rilasciare sostanze velenose. Il Protocollo di Ginevra del 1925, redatto dopo una lunga riflessione sugli orrori della Prima Guerra Mondiale, era però, in realtà, un accordo che vietava il “primo impiego” di armi chimiche, lasciando in molti casi agli stati firmatari la possibilità di rispondere, per ritorsione, ad un attacco in guerra con aggressivi chimici. La Convenzione di Parigi invece è stato il primo trattato internazionale concepito per bandire completamente qualsiasi attività rivolta a studio, sviluppo, produzione, acquisizione, detenzione, conservazione, trasferimento e utilizzo di armi chimiche e dei materiali ad esse collegati per fini bellici o criminali. In pratica si è voluta bandire tutta la “filiera produttiva” delle armi chimiche, come si direbbe oggi in altri ambiti.
Rispetto però ad altri accordi, come quelli sulla non proliferazione delle armi nucleari strategiche o sul bando delle armi biologiche, la Convenzione sulle Armi Chimiche presenta qualche punto di forza in più. Anzitutto, è prevista la revisione completa del testo del trattato e l’aggiornamento dell’elenco delle sostanze bandite ogni 5 anni. Ciò consente agli Stati Membri di stare al passo con l’avanzamento delle conoscenze scientifiche e tecniche e di considerare sempre con attenzione eventuali minacce legate a nuovi aggressivi o all’uso illecito
di molecole mai considerate prima. Già alla firma della Convenzione stessa, inoltre, era prevista la costituzione di un organismo sovranazionale autonomo, con funzione di controllo e verifica sull’operato dei Paesi Membri: l’Organizzazione sulla Proibizione delle Armi Chimiche, OPAC, con sede all’Aia. L’OPAC è dunque il braccio attuativo e ispettivo della Convenzione, con potere di inviare ispezioni periodiche nel territorio degli Stati firmatari e di richiamare le nazioni non in regola al rispetto del trattato. La continua attività di controllo
ha consentito all’OPAC, dal 1997 ad oggi, di identificare tutti i siti produttivi di armi chimiche presenti nei Paesi membri, di smantellare gli impianti o di riconvertirli per finalità pacifiche e, soprattutto, di distruggere il 99% delle riserve di aggressivi bellici dichiarati dagli Stati firmatari (ve ne sono circa 200 tonnellate ancora in corso di smaltimento negli USA).
Il principale punto debole invece è rappresentato dal fatto che non tutte le nazioni del globo hanno sottoscritto la Convenzione. Infatti, Corea del Nord, Egitto e Sudan del Sud non hanno firmato il trattato, mentre Israele ha firmato, ma non lo ha ancora ratificato; si tratta di Paesi la cui situazione geopolitica è purtroppo tutt’altro che tranquilla. Vi è poi il rischio, alquanto verisimile, che sostanze altamente tossiche possano essere utilizzate per fini illeciti, non solo in atti di guerra, ma anche in azioni di terrorismo o di sabotaggio, da parte di
organizzazioni criminali clandestine.
Per questa ragione la missione dell’OPAC non è dunque conclusa, perché il ruolo di controllo non deve concretizzarsi solamente sugli arsenali finora esistenti, ma anche sulle tecnologie e le strutture per la produzione di minacce e armamenti ex novo.
Prof. Matteo Guidotti
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