Il 6 ottobre 2020, l’Accademia reale svedese delle scienze ha assegnato il premio Nobel per la fisica a Roger Penrose, per la scoperta che la formazione dei buchi neri è una robusta previsione della teoria della relatività generale, e agli scienziati Andrea Ghez e Reinhard Genzel, per la scoperta di un oggetto compatto supermassiccio al centro della nostra galassia.
In un’intervista che Andrea Ghez ha rilasciato a Carlo Crosato per il settimanale L’Espresso dell’11 aprile scorso, l’astronoma statunitense ha raccontato di come per 25 anni, alla guida del gruppo di ricerca galattica della UCLA, abbia puntato i suoi telescopi verso il centro della Via Lattea, tenendo d’occhio il movimento di più di 3000 stelle, per studiarne i cicli e le interazioni.
Non si è trattato solo di osservazione e calcoli, ma di innovazione: Ghez ha convinto lo staff dell’osservatorio Keck a piegare i propri strumenti e i software di osservazione ben oltre l’uso per cui sono stati progettati, con l’obiettivo di ridurre gli effetti distorsivi. Un intero campo di ricerca si è evoluto così grazie alla perseveranza di Ghez e alla fiducia a lei tributata dall’Università per cui lavora.
Proprio della sua esperienza universitaria Ghez ha parlato a Crosato, raccontando del sostegno che l’istituzione riserva a chi promette di inseguire progetti promettenti, talvolta visionari, capaci di far progredire il nostro sapere scientifico. Perché, racconta Ghez, è questo ciò che conta: il nostro sapere relativo alla realtà che ci ospita, nella quale siamo integrati e con la quale intratteniamo un così fragile equilibrio. Che si tratti di ricerca mirata a un obiettivo concreto e immediato, come quella che qui sulla Terra è impegnata nello sviluppo di vaccini e farmaci, o che si tratti di ricerca pura, la scienza rimane la migliore espressione dell’intelligenza umana: essa accompagna i primi passi dell’uomo fin dai primissimi anni di vita, in cui il bambino sperimenta gli oggetti che lo circondano e le espressioni degli altri umani che lo accudiscono; e conserva la propria importanza come versione metodica della curiosità per la realtà più complessa e misteriosa.
È il metodo ciò che ci permette di affidarci alla scienza: mescolando competizione e collaborazione, critica e osservazione empirica, la scienza unisce nell’impresa di indagare e capire. Certo non mancano i limiti, come quelli di cui Ghez, donna in un ambiente ancora così dominato dagli uomini, racconta a Crosato.
L’astronoma ricorda la sua giovinezza, passata a leggere le biografie di donne pioniere nei loro ambiti di ricerca, come Marie Curie, prima donna a vincere un Nobel per la fisica nella storia. Ghez si dice entusiasta di poter rappresentare a sua volta un modello per le giovani che intendano intraprendere un percorso di ricerca, ben oltre i limiti che spesso le famiglie o la cultura dominante impongono. Spesso le donne che si affermano nel loro ambito sono osservate con un certo esotismo, evidenziando il fatto che si tratta di donne, appunto, e scordando di rilevare e apprezzare il contributo che esse stanno offrendo: Ghez si dice ottimista rispetto ai progressi che la nostra società sta già compiendo nella comprensione che la scienza ha molte forme.
Ciò che conta è accantonare la paura e osservare il mondo con curiosità.
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