La moderna cosmetologia è il risultato dell’incontro di molteplici scienze e competenze scientifiche: dalla chimica alla farmacologia, dalla biochimica alla dermatologia, dalla microbiologia. Oggi, al di là di essere una realtà economica di grande valore per l’economia italiana, è una branca scientifica finalizzata alla tutela del consumatore, confermando ciò che promette per mezzo della documentazione firmata dal professionista, e che riporta ogni indicazione richiesta dalla regolamentazione europea.
L’industria cosmetica italiana ha avuto anche il merito di dare per prima a questa disciplina un valore “accademico”, inserendola all’interno del piano di studi di molte facoltà di diversi atenei.
Nonostante il suo status, la cosmetologia deve affrontare sempre nuove sfide, come quella lanciata dal Green Deal Europeo a tutti i settori dell’economia: arrivare alla sostenibilità. Gli obiettivi di questo ambizioso progetto studiato dall’Unione Europea? La neutralità climatica entro il 2050, ma anche la protezione della biodiversità, l’eliminazione delle sostanze tossiche, la tutela delle risorse idriche, la mobilità sostenibile e la circolarità. Certamente questo è un impegno che riguarda tutta l’industria e la cosmetologia è in primo piano, considerando anche i risultati di un’indagine di Cosmetica Italia, dove la sostenibilità è indicata come la priorità per il 18,9% degli intervistati, delle aziende e degli altri protagonisti del settore.
Una sfida stimolante, che offre la possibilità di intraprendere nuove direzioni grazie anche ai nuovi asset della finanza sostenibile o alle risorse stanziate da Next Generation EU: 209 miliardi per l’Italia, di cui il 37% è destinato alla decarbonizzazione e alla sostenibilità ambientale.
Per creare prodotti con solide performance ambientali, la sostenibilità deve entrare in ogni fase della cosmetologia: dalla formulazione passando attraverso la necessaria fase di studio delle materie prime e degli eccipienti, alla distribuzione del cosmetico, dall’uso al fine vita. Magari sfatando alcuni falsi miti, come quello della naturalità che non sempre equivale a migliore performance ambientale del prodotto perché gli ingredienti naturali possono avere un impatto più elevato di quelli sintetici in termini di emissioni, uso del suolo e acqua. Altro aspetto essenziale è il packaging: sarebbe opportuno preferire soluzioni di riutilizzo con attenzione alla riciclabilità e al consumo di acqua. E gli anelli a valle nel ciclo di vita del prodotto? Dalla distribuzione all’allestimento del punto vendita occorre andare oltre l’efficienza energetica in ottica eco-design. Anche nella fase d’uso ci sono margini di miglioramento, ad esempio attraverso contenitori che rendano più facile l’utilizzo di tutto il prodotto.
La strada aperta da molte pratiche aziendali virtuose e da normative sempre più attente all’ambiente è ricca di stimoli e opportunità. Si tratta di abbracciare un’occasione di crescita e innovazione per investire in ricerca, formazione e soluzioni collaborative.
Visto che con l’estate poi, si parla tanto di creme solari e prodotti antizanzare, tra i vari cosmetici e cosmeceutici in commercio occorre saper distinguere quale sia il prodotto più opportuno da acquistare in base alle specifiche esigenze del consumatore. Il consiglio, come per gli alimenti, è sempre quello di leggere attentamente l’etichetta, soffermandosi sull’INCI, ossia l’elenco degli ingredienti: quelli di derivazione vegetale, vengono indicati con il loro nome latino (ad esempio l’Helianthus annuus oil è l’olio di girasole), mentre le sostanze prodotte da processi di sintesi laboratoristica o industriale hanno un nome inglese. Se nella lista compaiono composti come: Chlorine, EDTA Triclosan, Methicone, Paraffinum Liquidum, Phenoxyethanol, Quaternium, Triclosan e tutti i componenti che contengono la parola parabene, PEG o propyl, il cosmetico non può considerarsi naturale.
Leggere l’etichetta è un piccolo accorgimento, ma fondamentale per orientarsi nel mare di cosmetici offerti dal mercato, anche in estate.
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